Pelle d’Asino | Favole per Bambini

Pelle d’Asino

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Tempo di lettura: 27 Minuti

C’era una volta un Re così potente, così amato dal suo popolo e così rispettato dai suoi vicini e alleati che si poteva dire francamente di lui: è il sovrano più felice di quanti portano corona su questa terra. La sua felicità era poi giunta al colmo quando sposò una Principessa bellissima. I due sposi vivevano nel più perfetto accordo e nella felicità più grande; ebbero una sola figlia tanto bella e tanto buona e non ebbero mai motivo di rammaricarsi di non aver avuto altri figli.

Nel palazzo reale fioriva il gusto, la magnificenza e l’abbondanza d’ogni cosa bella e buona: i ministri erano saggi e capaci, i cortigiani affezionati e incorruttibili, i servitori fedeli e laboriosi, le scuderie vaste e popolate dai più splendidi cavalli del mondo intero, ricoperti da bardature ricchissime. Ma quello che più di ogni altra cosa meravigliava gli stranieri venuti a visitare le scuderie reali, era il vedere al primo posto, e nel luogo che più dava nell’occhio, un asino gigantesco che sfoggiava in faccia a tutti le sue lunghe orecchie pelose. Il Re aveva assegnato a quell’animale un posto speciale e distinto, non già per capriccio, ma per matura e illuminata riflessione. I pregi di quella bestia meritavano tutto, la natura lo aveva fornito di un talento così straordinario che la sua stalla, invece di essere come le altre un brutto ammasso d’immondizia, si trovava tutte le mattine ricoperta d’un abbondantissimo strato di monete, scudi d’argento e zecchini d’oro di tutte le qualità che si raccoglievano a profusione quando il somaro si svegliava.

Ma, poiché le disgrazie della vita colpiscono i Sovrani non meno dei loro semplici sudditi, e non si trova al mondo così grande felicità che non sia mescolata a qualche amarezza, il cielo permise che la Regina fosse colta improvvisamente da una crudele malattia contro la quale, malgrado la sapienza e lo zelo dei medici di Corte, non fu possibile trovare alcun rimedio. La desolazione invase tutto il regno. Sua Maestà, sensibilissimo, e sempre innamorato com’era, piombò nella più cupa disperazione, fece voti e preghiere in tutte le Chiese del Reame, offrì la sua stessa vita in sacrificio per salvare quella d’una sposa così diletta, ma Dio e le Fate restarono sordi alle sue suppliche.

La Regina, che sapeva della malattia, sentendo avvicinarsi la sua ultima ora, disse al Consorte che si struggeva in lacrime accanto al letto:

“Ti piaccia, prima che io muoia, accordarmi una grazia, che esigo da te. Caso mai ti venisse il desiderio di riprender moglie…”

A queste parole il Re gettò delle grida strazianti, afferrò le mani della sua sposa, le inondò di lacrime e giurò che era assolutamente inutile parlare di seconde nozze.

“Ah! No” — disse singhiozzando — “no, Regina mia bella… parlami piuttosto di morire con te…”

“Lo Stato” — l’interruppe la Regina con una forza d’animo che aumentò il dolore del suo sposo — “lo Stato domanda un successore alla Corona. Io non ti ho dato che una figlia e i sudditi esigono certamente un successore maschio che ti somigli e continui sul trono lo splendore delle tue virtù. Ma ti domando grazia, per tutto l’amore che mi hai portato, di non cedere al desiderio ardente del tuo popolo, finché non avrai trovato una Principessa più bella e più graziosa di me. Giuralo e morirò contenta.”

Si è creduto poi che la Regina, alla quale non mancava un po’ di vanità, avesse preteso quel giuramento, perché non credeva ci potesse essere al mondo una donna tale da potersi paragonare a lei: tanto valeva allora assicurarsi che il Re non sarebbe mai passato a seconde nozze.

Frattanto morì. Nessun marito mai alzò tanto strazio di gemiti e di lamenti; piangere a tutte le ore, singhiozzare notte e giorno, inabissarsi nell’angoscia della solitudine furono le sole occupazioni del povero Re. Ma i grandi dolori non durano a lungo. Del resto poi anche i grandi dignitari della Corona si riunirono e si presentarono solennemente al Sovrano per pregarlo di risposarsi. Questa prima comunicazione par-ve amarissima a Sua Maestà e provocò un altro scoppio di lacrime da parte sua.

A un secondo tentativo il povero Re oppose il giuramento fatto alla Regina e sfidò tutti i suoi ministri e i suoi consiglieri a trovargli una donna più bella e graziosa della sua povera moglie… cosa assolutamente impossibile e da non pensarsi neppure !… Ma il Consiglio dei Ministri, senza mancare al rispetto dovuto, trattò quell’affare del giuramento piuttosto sotto gamba,… una semplice bagatella… e disse che la bellezza era una cosa senza grande importanza, una Regina doveva essere virtuosa e capace di dare al Re un erede maschio, poiché lo Stato, per le sue condizioni, per il suo decoro, per la sua tranquillità, aveva bisogno di Principi e non di Principesse…

“Difatti, Maestà” — osservava il Primo Ministro — “la Principessina ereditaria ha senza dubbio tutti i pregi indispensabili per diventare una grande Regina, ma dovrà un giorno andare sposa a un Principe straniero… E allora, una delle due: o il Principe straniero se la conduce via con sé e lo Stato rimane senza Dinastia e senza Corona o regna sul nostro Stato insieme a Lei, e verranno dei figli rampolli di un altro sangue, che porteranno un altro nome, da cui la probabilità di guerra da parte delle Potenze vicine, le quali presto tardi condurranno lo Stato in rovina.”

Tutte queste sagge considerazioni colpirono Sua Maestà, che finì col dire:

“ci penseremo”, per levarsi i Ministri di torno.

Ma, così per fare, passò in rassegna tutte le Principesse che conosceva in età da marito, riflettendo su quale gli poteva convenire. Ogni giorno c’era chi gli portava dei ritratti meravigliosi… ma nessuna donna aveva l’attrattiva e la perfezione della Regina buon’anima. E così passava il tempo e non ci si decideva mai.

Per sua disgrazia gli parve un giorno di accorgersi che la Principessina sua figlia, non soltanto era più bella e graziosa di tutte quelle che aveva di recente visto, ma ancora oltrepassava di gran lunga in grazia, in acume, in bellezza la defunta Regina sua madre. La gioventù di quella fanciulla, la freschezza della sua carnagione, la vivacità del suo colorito, i suoi begli occhi destarono nel cuore del Re una fiamma così violenta che non riuscì neppure a nascondere alla Principessa e finì col dirle apertamente che aveva deciso di sposarla, perché Lei sola poteva scioglierlo dal suo giuramento.

La Principessina fu lì lì per svenire; dopo tutto lei aspirava a sposare un giovane principe, non certo il vecchio padre… Prostrata in ginocchio dinanzi al genitore lo scongiurò con tutta la forza di non chiederle questo enorme sacrificio.

Il Re, che ormai si era cacciato in testa quel pazzo proposito, domandò consiglio ad un vecchio Druido affinché cercasse di convincere la giovane Principessa. Il Druido, più spinto dall’ambizione che trattenuto dalla fede religiosa, sacrificò i diritti dell’innocenza e della volontà della Principessa all’onore di essere scelto a confidente del suo Sovrano; s’insinuò con tanta astuzia nello spirito del Re, dissimulò fino a tal punto l’orrore del delitto che questi deliberava di commettere, che trovò modo persino di persuaderlo di fare opera pietosa e giusta sposando sua figlia. Da quel momento in poi il Sovrano, lusingato dai ragionamenti del perfido consigliere, si ostinò ancora di più nel suo disegno e fece notificare alla Principessa l’ordine di prepararsi ad obbedire.

La Principessa, prostrata dal più vivo dolore, non seppe immaginare nulla di più opportuno del ricorrere, per consiglio ed aiuto, alla Fata delle Rose, sua madrina; la notte stessa partì in un grazioso carrozzino tirato da un grosso agnello che conosceva benissimo tutte le strade e in poche ore arrivò felicemente a destinazione.

La Fata, che voleva molto bene alla brava ragazza, l’assicurò che sapeva perfettamente tutto quello che lei veniva a raccontare, le disse di non darsi pensiero perché non avrebbe avuto nulla da temere quando si fosse decisa ad eseguire fedelmente le prescrizioni che stava per suggerirle.

“Sarebbe certo brutto per una giovinetta come te” — disse la Fata — “sposare il tuo vecchio padre e noi possiamo evitarlo senza irritare il Re con un rifiuto. Digli che, per levarti un capriccio, ti deve dare un vestito del colore dell’Aria. Con tutto l’amor suo e con tutto il suo potere, mai potrà riuscire a contentarti.”

La Principessa ringraziò mille volte la buona Fata, e la mattina dopo eseguì perfettamente il suggerimento, disse al Re suo padre che non avrebbe nemmeno pensato a dare il suo consenso alle nozze se prima non le si recava in dono un vestito del colore dell’Aria. Il Re, farneticante per la nuova speranza che gli sorgeva in cuore, radunò i più celebri sarti e ordinò loro il vestito, li minacciò che, se non riuscivano a tesserlo e a tingerlo proprio di quel colore, li avrebbe fatti impiccare tutti dal primo all’ultimo.

Ma non ebbe il dispiacere di spingersi fino a quel limite estremo perché in un paio di giorni i fabbricanti gli portarono l’abito tanto desiderato. Il cielo non è tinto di un più bell’azzurro quando si cinge di nuvolette frangiate d’oro e d’argento, di quel che fosse l’abito nuovo quando venne messo in mostra. La Principessa ne rimase tutta mortificata e confusa tanto più che il Re trionfante insisteva per una decisione.

Bisognò ricorrere un’altra volta alla Madrina, la quale, sorpresa che il suo espediente avesse avuto un così cattivo risultato, la consigliò a tentare la domanda di un abito color della Luna. Il Re ormai non poteva rifiutare più nulla: chiamò di nuovo i più abili sarti e ordinò un vestito del colore della Luna con tali ingiunzioni e minacce, che fra la domanda e la consegna dell’abito non passarono più di ventiquattr’ore !… Alla Principessa faceva più piacere il vestito che l’amoroso ardore di suo padre nel procurarglielo; e sola con le sue cameriere e con la nutrice si abbandonò all’angoscia più profonda.

La Fata delle Rose, che sapeva tutto, corse in aiuto della Principessa e le disse:

“O io m’inganno, o arriveremo a stancare il Re tuo padre domandandogli un abito del colore del Sole; quand’anche potesse far fabbricare un vestito simile, e son d’avviso che non riuscirà, noi avremo sempre guadagnato parecchio tempo.”

La Principessa si convinse e domandò l’abito. Il Re innamorato diede ai sarti senza nemmeno un sospiro, tutte le sue gemme, i brillanti e i rubini della corona per servire alla guarnizione di quel vestito con ordine perentorio di non risparmiar nulla per renderlo assolutamente eguale al Sole.

Detto fatto, quando l’abito fu portato a Corte, tutti quelli che lo videro furono obbligati a chiudere gli occhi tanto ne rimasero abbagliati e colpiti. Fu in quel tempo appunto e per quella circostanza che s’inventarono le lenti azzurre, gli occhiali verdi e le lenti affumicate.

Ah! Come rimase la Principessa a quella vista!… Non era mai stato fatto nulla di più belle né di più artisticamente lavorato.

Lei era delusa, era sbalordita… e con la scusa che aveva male agli occhi, si ritirò nella sua camera, dove l’attendeva la Fata, stizzita e vergognosa anche lei oltre ogni dire. Vedendo il vestito del colore del Sole, la Fata diventò rossa dalla collera!…

“Oh! Questa volta poi” — esclamò – “metteremo l’indegno e criminoso amore di tuo padre alla prova più decisiva. Per quanto sia desideroso di queste nozze, che suppone molto vicine, non si aspetta di certo la domanda che ti consiglio di fare. Rimarrà di gesso! … Chiedigli la pelle di quell’asino a cui lui tiene così tanto, e non a torto… basta da sé solo a metter in pari tutti gli anni il bilancio del Regno! Se fa anche questa non so più che dire!… Ma intanto corri e non esitare a dir forte che vuoi la pelle dell’asino a qualunque costo.”

La fanciulla, contentissima d’aver trovato ancora un mezzo per eludere la minaccia di un matrimonio non voluto e convinta insieme che suo padre non avrebbe mai acconsentito a sacrificare una bestia così preziosa fece la sua parte stupendamente e chiese al Re con tutte le apparenze del più vivo desiderio la pelle dell’asino famoso.

Il Re restò un po’ sorpreso di quel nuovo e inesplicabile capriccio; non esitò però un minuto a soddisfarlo. Il povero asino fu ucciso e la pelle fu portata con tutti gli onori alla Principessa, la quale, stimando ormai perduta ogni speranza di sottrarsi al suo triste destino, stava per prendere la terribile decisione di lasciarsi morire di fame. Ma ecco ancora la buona Fata:

“Che fai?… Che fai, figlia mia?…” — disse vedendo che la Principessa si strappava i capelli piangendo forte forte.

“Non disperare anche se questo è un momento assai brutto. Avvolgiti in questa pelle, esci dal Palazzo e cammina diritto davanti a te finché avrai forza. Quando si sacrifica tutto alla virtù, la ricompensa di Dio non è lontana. Fuggi… io provvederò affinché i tuoi abiti ti seguano da per tutto… in qualunque luogo tu ti riposerai o prenderai dimora, la cassa del tuo vestiario e dei tuoi gioielli verrà con te viaggiando sotto terra. Prendi… questa è la mia bacchetta. Battendo sul terreno quando ne avrai bisogno, la cassa non si farà aspettare. Ma spicciati a partire e non temere nulla.”

La Principessa abbracciò piangendo la Fata, si raccomandò a lei che per carità non l’abbandonasse, e dopo essersi imbrattata il volto di fuliggine per non essere riconosciuta si vestì della pelle e lasciò quel ricco Palazzo senza incontrare ostacoli.

La scomparsa della Principessa mise in grande scompiglio tutta la Corte Reale. Il Sovrano, che aveva fatto preparare una festa magnifica per la cerimonia, non sapeva darsi pace. Fece subito partire in tutte le direzioni più di cento guardie e più di mille moschettieri per cercare sua ma la Fata che la proteggeva la rese invisibile ai più astuti investigatori, e la cosa non ebbe seguito. Fu giocoforza rassegnarsi e tacere.

Durante questo tempo la Principessa camminava, camminava… Andò lontano, molto lontano, sempre più lontano cercando un postici-no o ;e poter lavorare… ma sebbene qualcuno le desse un po’ da mangiare a titolo di carità, nessuno volle sapere di darle un lavoro perché la trovavano troppo sudicia. Finalmente arrivò a una bella città, presso la cui porta si trovava una fattoria, la fattoressa per l’appunto aveva bisogno di una sguattera per lavare gli stracci, ripulire il pollaio e — con rispetto — pure il porcile. Quella donna, vedendo quella povera girovaga così conciata e sudicia, le fece la proposta di entrare nella fattoria al suo servizio; la Principessa accettò con tutto il cuore perché non ne poteva più di camminare!… Le assegnarono un angolino in cucina dove fin dai primi giorni diventò il bersaglio di tutti gli scherzi di cattivo gusto dei servitori, tanto la sua pelle d’asino la rendeva brutta e sporca. A poco a poco non la guardarono più.

Del resto lei era così puntuale a fare il suo dovere, che la fattoressa la prese sotto la sua protezione. Conduceva le .pecore al pascolo, le riconduceva all’ovile in tempo debito, andava fuori coi tacchini, puliva il porcile tutto con tanta intelligenza e abilità che pareva proprio non avesse mai fatto altro in vita sua. A quel modo tutto prosperava sotto le sue belle mani.

Un giorno mentre stava seduta sulla sponda d’una limpida fontana, dove si fermava talvolta a meditare sopra la sua triste condizione, le venne il capriccio di specchiarsi in quell’acqua… e la spaventosa pelle d’asino che la copriva dalla testa ai piedi le fece veramente ribrezzo. La vergogna la spinse a lavarsi almeno il viso e le mani che divennero subito bianche come l’avorio e la sua pelle fine e delicata riprese la naturale freschezza.

Si trovò bella e se ne rallegrò tutta, sentì la tentazione di fare un bagno… e lo fece… purtroppo per tornare alla fattoria dovette rivestirsi di nuovo con la brutta pelle.

Per fortuna l’indomani era festa e la Principessa ebbe il tempo e la comodità di ricorrere alla sua cassa: si pettinò e si incipriò i biondi capelli e si mise il suo bel vestito colore dell’Aria. Tutto di nascosto, s’intende.

Ma si guardò nello specchio e con ragione rimase a lungo in ammirazione di sé stessa, poi finì per decidere di vestirsi in gran gala tutte le domeniche e le altre feste comandate, così per cacciar la noia e mantenere belli tutti i suoi abiti magnifici. D’allora in poi, non mancò più una festa. Intrecciava fiori e gioielli nei suoi capelli e sospirava per il dispetto di non avere nessuno a testimone della sua bellezza, tranne le pecore e i tacchini che però le volevano bene anche quando aveva addosso l’orribile pelle d’asino di cui le era ormai rimasto il soprannome.

Un giorno di festa che Pelle d’Asino s’era preparata col suo bell’abito del colore del Sole, il figlio del Re, che tra le altre cose era proprietario anche della fattoria, venne lì e smontò da cavallo per riposarsi dalle fatiche della caccia. Era un Principe giovane e bello, di aspetto elegante e piacevole, era la gioia del Re suo padre e della Regina sua madre, adorato dal popolo e ammirato da tutti. Al Principino fu offerto un gustoso pranzetto campestre che egli accettò di buon grado; poi volle visitare le stalle, i pollai e tutte le dipendenze dei locali di amministrazione.

Vagando così a destra e a sinistra, per semplice curiosità, gli capitò d’inoltrarsi per un viale ombroso, in fondo al quale vide una porta serrata con un catenaccio. Senza sapere perché, avvicinò l’occhio al buco della serratura. Figuratevi come rimase scorgendo la Principessa: così bella, così riccamente vestita, con un’aria nobile e modesta da farla sembrare più una divinità che una donna!… Lo slancio di vivace sentimento che provò in quell’istante l’avrebbe quasi incoraggiato a buttar giù quella porta, ma si trattenne per il rispetto che gli ispirava quella celeste visione.

Si ritrasse a malincuore da quello scuro viale e tornò indietro frettoloso per domandare chi abitava in quella stanza appartata. Gli fu risposto che ci stava una straccioncella chiamata per soprannome Pelle d’Asino a causa d’una certa pelle che portava addosso… una ragazza così unta e bisunta che nessuno la guardava, né le parlava; l’avevano presa per carità e messa a curare le pecore e i tacchini.

Il Principe rimase poco persuaso da quelle spiegazioni, ma capì che quella gente ignorante e volgare non ne sapeva di più e che era assolutamente inutile fare altre domande. Tornò al Palazzo di suo padre ma era troppo innamorato, vedeva sempre dinanzi ai suoi occhi la sfolgorante immagine della bella fanciulla che gli era apparsa attraverso il buco della serratura!… Mille volte si pentì di non aver bussato alla porta e giurò a sé stesso d’esser in futuro più ardito.

Ma la notte stessa, per l’agitazione prodotta dal pensiero fisso e dalla fiamma d’amore, gli venne una febbre così terribile che in breve fu ridotto in fin di vita. La Regina, che non aveva altri figli, era disperata vedendo inutili ed inefficaci medici e medicine. Invano aveva promesso ricompense veramente regali… i dottori erano impotenti a guarire il Principino. Indovinarono solamente quando dissero che un gran dispiacere era la causa di quella misteriosa malattia; ne avvertirono la Regina, che tutta affettuosa corse al letto del figliolo, scongiurandolo a manifestare la causa del suo dolore: se anche si fosse trattato della Corona, il Re suo padre senza rammarico sarebbe sceso dal trono per farci salire lui e se desiderava in moglie qualche Principessa sarebbe stato subito accontentato, fosse stata anche la figliola di un Re in guerra collo Stato, o d’un Principe ribelle.

Tutto si sarebbe sacrificato alla sua salute, per ottenere soddisfazione dei suoi desideri… ma per carità, per compassione dei suoi genitori, non si doveva lasciar morire così senza aprire bocca, perché dalla sua vita dipendeva la vita del babbo e della mamma. E non poté terminare questo discorso senza inondare di lacrime la pallida faccia del figlio adorato.

“Mamma” — disse finalmente il Principe con una voce debole e fioca — “io non sono così snaturato da desiderare la Corona del Re mio padre; piaccia a Dio che campi cent’anni e mi tenga sempre per il più fedele e rispettoso dei suoi sudditi. Quanto alle Principesse di cui mi parli, mamma, non ho nemmeno pensato per ora a prender moglie e se mi fosse venuto in mente, da figliolo sottomesso e rispettoso come sono, ve ne avrei parlato e avrei obbedito in tutto alla vostra volontà, anche a costo della vita.

“Ah! Caro figliolo” — rispose la Regina — “siamo noi che daremmo la vita per salvare la tua!… Ma se non vuoi veder morire prima di te il tuo babbo e la tua mamma, dimmi che cos’hai, che cosa desideri e ti giuro che sarai accontentato.”

“Ebbene, mamma” — disse il Principe — “giacché tu ordini di svelarti il mio pensiero, sarai obbedita… mi parrebbe un delitto mettere in pericolo due persone che sono tanto care al mio cuore. Io desidero, mamma, che Pelle d’Asino mi faccia una focaccia che mi deve essere subito portata qui.”

“Pelle d’Asino!” — esclamò la Regina sorpresa da quel nome così strano — “E che roba è questa Pelle d’Asino?…”

“Maestà” — disse un ufficiale del seguito che aveva per caso visto quella ragazza — “è una serva, una giovane assai brutta e sporca, che vive alla fattoria badando ai tacchini…”

“Non importa niente” — disse la Regina — “può darsi che mio figlio andando a caccia abbia mangiato una fetta delle focacce che fa quella serva e gli sia piaciuta. Sarà un capriccio, una voglia da malato. Si cerchi subito Pelle d’Asino… deve essere… e che ci prepari immediatamente una focaccia.”

Via di corsa tutti gli ufficiali andarono alla fattoria coll’ordine di trovare Pelle d’Asino e di farle fare una focaccia per Sua Altezza.

Alcuni giurano che, al momento in cui il Principe aveva messo gli occhi alla serratura, Pelle d’Asino l’aveva veduto con i suoi e più tardi era andata alla finestra quando lui tornava indietro e l’aveva rivisto così giovane, così bello, così elegante, da allora, dicono, non aveva mai più potuto dimenticarlo e quel ricordo le era costato molte lacrime e sospiri. Comunque sia, o che l’avesse visto, o che ne avesse sentito soltanto parlare, fatto sta che, tutta contenta di trovare un mezzo per farsi conoscere, si chiuse in camera sua, gettò via l’orribile pelle, si lavò il viso e le mani, vestì un bellissimo corpetto tessuto d’argento brillante come l’Aurora, una sottana della medesima stoffa e si mise a fare la focaccia tanto desiderata, col più puro fior di farina, con burro squisito e uova fresche.

Lavorando la pasta, non si sa se per caso o apposta, l’anello che aveva al dito, cascò nell’impasto e ci restò. Quando la focaccia fu cotta, si rinfagottò daccapo nella sua orribile pelle di cuoio e portò la focaccia all’ufficiale di ordinanza, domandandogli notizie del Principe infermo. Costui non si degnò neppure di risponderle e corse al Palazzo a portare la focaccia fumante.

Il Principe afferrò avidamente la focaccia dalle mani dell’ufficiale e la mangiò subito con tale entusiasmo che i medici osservarono che quello strano appetito era un cattivo segno ! Difatti Sua Altezza fu lì lì per rimanere soffocato dall’anello che trovò in un boccone della focaccia. Fortuna che riuscì a levarselo di bocca senza farsi vedere… da quel momento non ebbe più tanta furia di mangiare, osservava piuttosto quello smeraldo finissimo, incastonato sopra un cerchietto d’oro così stretto, che di certo non poteva andar bene se non al ditino più piccolo e affusolato del mondo.

Baciò l’anello mille volte, lo nascose sotto il cuscino, ma ogni momento lo tirava fuori, soprattutto quando era sicuro di non essere spiato da nessuno. Il tormento che si dava per cercare il mezzo di vedere la padrona dell’anello, la paura che aveva di un rifiuto alla sua domanda di far venire a Corte Pelle d’Asino che aveva preparato la focaccia, la ripugnanza che provava a raccontare quanto aveva visto dal buco della serratura, la certezza che tutti lo avrebbero preso per un pazzo o per un allucinato, gli procurarono una ricaduta; la febbre si manifestò con gran violenza e i medici curanti, non sapendo più che cosa diavolo dire, dichiararono alla Regina che il Principe era malato… d’amore.

Questa volta al letto dell’amato figliolo corsero la Regina ed il Re, tutti e due insieme.

“Figlio mio, figlio mio” — gridava il Sovrano desolato — “ti giuro che te la darò, fosse anche la più sciagurata e vile schiava del mondo!”

“Si, te lo giuriamo” — confermò la Regina.

Intenerito dalle lacrime e dalle carezze dei suoi amati genitori, il Principe non poté più serbare il silenzio.

“Babbo e Mamma” — disse timidamente — “non vorrei per tutto l’oro del mondo contrarre un matrimonio che vi possa dispiacere e per darvi una prova di questa verità, ecco…”

Tirò fuori lo smeraldo di sotto al cuscino e lo porse ai suoi sempre più sorpresi genitori:

Io sposerò la donna alla quale starà bene quest’anello, chiunque ella sia… ma capirete facilmente che chi ha un ditino così piccolo e delicato non può essere una contadina, né una donna di basso lignaggio.”

La Regina e il Re presero l’anello, l’osservarono minuziosamente con grandissima curiosità e furono perfettamente d’accordo, secondo le riflessioni del Principe, che quel cerchietto apparteneva di sicuro a qualche signorina di buona famiglia… per lo meno.

Sua Maestà il Re abbracciò teneramente il figliolo, si raccomandò che facesse di tutto per guarire alla svelta, uscì di camera, fece suonare immediatamente tamburi, pifferi e trombe per tutta la città e, per bocca degli araldi, bandì che tutte le donne nubili dovevano venire al Palazzo a provarsi un anello; quella a cui fosse andato bene sarebbe stata la sposa dell’Erede al trono.

Le prime ad arrivare furono le Principesse, poi sfilarono le Duchesse, le Marchese, le Contesse, la Baronesse… ma ebbero un bello stropicciarsi le dita per assottigliarle, non ce ne fu una che riuscisse ad infilarsi l’anello. Furono introdotte anche le ragazze del popolo… carine tanto ma avevano le dita troppo grosse. Il Principe, entrato in convalescenza, assisteva di persona alle prove.

Finalmente si scese giù giù fino alle cameriere e alle servette ma anche con loro non si ebbe alcun risultato. Non c’era rimasta più una ragazza che non si fosse inutilmente presentata alla gara; allora il Principe domandò che fossero introdotte le cuoche, le sguattere, le ragazze che badavano alle pecore… Venne a Palazzo tutta quella gente ma le dita tozze e rugose non entrarono nell’anello più su dell’unghia.

“Ma” — domandò il Principe inquieto — “quella tal Pelle d’Asino, che mi fece una focaccia giorni addietro, è stata invitata?”

Risero i cortigiani e risposero di no. “A quale scopo?… Lei così sudicia e brutta!…”

“Andatela a cercare immediatamente” — gridò il Re — “Io non ho fatto, e nessuno osi fare, eccezioni.

Obbedirono sghignazzando e scherzando, e si mossero per cercare la straccioncella.

Pelle d’Asino aveva ben sentito i tamburi e la voce degli araldi e si era certo immaginata che tutta quella confusione fosse provocata dall’anello. Amava il Principe, ma poiché il vero amore è timido e modesto, stava in continua ansia che qualche dama di Corte avesse le dita sottili come le sue.

Quando vennero a cercarla, il cuore le diede un tuffo per la gioia. Fin dal momento in cui aveva sentito dire della ricerca di una dama che avesse un dito tanto sottile da mettersi l’anello suo, le era nata in cuore come una vaga speranza; si era pettinata con maggior cura, s’era vestita del suo bel corpetto d’argento, colla sottana a tre balze di trine d’oro tempestate di smeraldi.

Sentì battere alla porta, erano gli ufficiali e le guardie del Re che la cercavano per condurla dal Principe… prontamente si ricoprì colla solita pelle, e disse: “eccomi qua”.

Tutta quella gente, ridendo e burlandosi di lei, le disse che doveva andare alla Corte, che il Re la mandava a chiamare per maritarla con suo figlio !… E la folla a ridere, a fischiare, a far baccano !… Finalmente arrivò al cospetto del Principe, il giovane rimase anch’egli meravigliato di quello strano abbigliamento e dubitò che quella fosse la ragazza ch’egli aveva veduto così bella e riccamente vestita.

Triste e confuso per la vergogna di uno sbaglio che lo esponeva al ridicolo, le domandò tremando:

“Dite, ragazza mia, siete voi che abitate in fondo al viale scuro, accanto all’aia piccola della fattoria?”

“Altezza sì” — rispose la fanciulla.

“Fatemi un po’ vedere la vostra mano” — riprese il Principe con un sospiro affannoso.

Eh! dico: figurarsi lo sbalordimento del Re, della Regina, di tutti i ciambellani e dignitari di Corte, quando, sotto da quella lurida pelle nera, uscì fuori una manina, delicata, candida come la neve e fresca come una rosa, al cui dito affusolato si adattò facilmente e meravigliosamente l’anello!… Proprio in quel momento la Principessa fece una mossa impercettibile, la pelle scivolò giù dalle spalle… e apparve agli occhi di tutti una bellezza così sfavillante che il Principe, un po’ debole com’era, cadde in ginocchio e abbracciò la fanciulla con un ardore che la fece arrossire !…

Nessuno però se ne accorse, perché il Re e la Regina vennero ad abbracciarla e con mille carezze le domandarono di acconsentire alle nozze col loro adorato figlio. La Principessa, confusa da tanti complimenti, rapita in estasi dalle espressioni d’amore del giovane Principe, stava per dire le prime parole di ringraziamento quando… il soffitto della sala si aprì prodigiosamente e la Fata delle Rose apparve in un carro fatto di ramoscelli ricchi di fiori di cui portava il nome. In poche parole raccontò la storia della Principessa e fece l’elogio della sua virtù e del suo spirito.

Il Re e la Regina furono ancora più contenti nel sentire che Pelle d’Asino era una Principessa di sangue reale, ma il Principe fu più intenerito ancora nell’apprendere che era tanto buona e l’amor suo crebbe mille volte dopo le parole della Fata.

La sua impazienza di celebrare le nozze fu tale che, a mala pena, voleva concedere il tempo di fare i preparativi necessari. Il Re e la Regina intanto, contenti della futura nuora, la tenevano tutto il giorno fra le braccia con le carezze più affettuose.

La Principessa aveva però dichiarato che non si sarebbe mai decisa a prendere marito senza il consenso del Re suo vecchio genitore; motivo per cui il primo invito fu diretto a quel Sovrano, non gli fu però detto il nome della fidanzata… perché così aveva ordinato la Fata delle Rose, per paura delle conseguenze.

Il giorno del matrimonio arrivarono i Re di tutti i paesi del mondo: chi in portantina, chi in calesse; i più lontani sugli elefanti, sulle tigri, perfino sulle aquile… ma il più sovranamente magnifico e maestoso fu il padre della Principessa… che, dopo la scomparsa della figlia, aveva sposato una Regina vedova, molto bella; dalla quale però non ottenne figlioli.

La Principessa corse incontro al padre, egli la riconobbe immediatamente e l’abbracciò con grande amore prima che lei avesse il tempo di gettarsi alla sue ginocchia. Il Re e la Regina gli presentarono il loro figlio, che fu colmato di gentilezze. Si celebrarono le nozze con tutte le magnificenze immaginabili, ma gli Sposi poco sensibili alle manifestazioni esteriori di vanità, non videro altri splendori che loro stessi.

Il Re, padre dello Sposo, quel giorno medesimo passò lo scettro al figlio, lo fece incoronare e dopo averlo collocato lui stesso sul trono, volle essere il primo a baciargli la mano.

Il Figlio rispettoso non voleva permettere un simile omaggio ma il padre per l’ultima volta comandò, e fu necessario obbedire.

Le feste durarono oltre tre mesi. E l’amore dei due Sposi felici durerebbe ancora – tanto si volevano sinceramente bene – se cedendo alle leggi della natura non fossero morti cent’anni più tardi.

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