La Bella Addormentata nel Bosco | Favole per bambini

La Bella Addormentata nel Bosco

Condividi su:
Tempo di lettura: 18 Minuti

C’era una volta un Re… e una Regina; essi vivevano tristi e soli perché non avevano bambini ad allietare la loro vita.

Finalmente, un giorno, nacque una bellissima bambina; grande fu la gioia a Corte, subito si iniziarono i preparativi per il battesimo, una festa che non doveva avere mai avuto pari in tutto il mondo.

Fu una cerimonia bellissima preparata in ogni particolare, furono invitate tutte e Fate che si poterono trovare nel paese (ve ne erano sette) affinché facendo ciascuna di loro un dono alla Principessina – com’era a quel tempo usanza delle Fate – ella potesse avere tutte le perfezioni immaginabili.

Dopo il battesimo, il nobile corteo ritornò al palazzo del Re, dove era stato preparato un grande banchetto in onore delle Fate. Ogni posto era stato apparecchiato con splendide posate e ad ogni Fata era stato destinato un astuccio d’oro massiccio che conteneva il cucchiaio, la forchetta e il coltello tutti d’oro finissimo tempestato di diamanti e rubini.

Ma mentre tutti stavano prendendo posto a tavola, si vide entrare all’improvviso una vecchia Fata che non era stata invitata, perché da più di cinquant’anni non usciva più dalla sua torre incantata, e tutti la credevano morta, o sotto l’influenza di un incantesimo. Subito il Re fece portare le posate anche per lei, mancava però l’astuccio d’oro massiccio, perché ne erano stati ordinati solo sette. La vecchia Fata immaginò che ciò fosse stato fatto per umiliarla e adirata brontolò fra sé e sé qualche minaccia.

Una delle Fate più giovani che le stava seduta accanto, sentì quel brontolio e, indovinando l’intenzione della vecchiaccia di far qualche brutto dono alla Principessa, pensò di nascondersi, appena finito il banchetto, dietro una tenda allo scopo di esser poi l’ultima a parlare, e poter riparare, per quanto fosse in suo potere, al maleficio che la vecchia avrebbe fatto.

Un momento dopo, le Fate incominciarono a porgere i doni alla dolce principessina. La più giovane recò per dono la bellezza: la piccina sarebbe diventata la più bella ragazza di tutto il mondo; un’altra le donò l’intelligenza; la terza le concedette di mettere una grazia incantevole in ogni gesto; la quarta di saper danzare con perfezione meravigliosa; la quinta di cantare con voce e la soavità di un usignolo; la sesta di suonare qualunque strumento meglio del più bravo musicante.

Quando toccò alla vecchia Fata questa si fece avanti scollando la testa più per la rabbia che per la vecchiaia e disse che la piccola Principessa sarebbe morta a causa di un fuso che le avrebbe passato la mano da parte a parte! La crudele profezia fece fremere d’orrore tutti i presenti e la gioia del momento si interruppe e nessuno riuscì a trattenere le lacrime.

A questo punto la Fata giovane uscì fuori dalla tenda dietro cui si era nascosta e pronunziò queste parole ad alta voce:

“Mio Re, Mia Regina, non vi sgomentate! Rassicuratevi, la Principessina non morirà. È vero che mi manca il potere per cancellare interamente il sortilegio che ha fatto la Fata più anziana di me: la principessa si pungerà con il fuso ma si salverà dalla morte e cadrà soltanto in un profondo sonno, un sonno che durerà cent’anni finché un Principe la verrà a destare.

Figuratevi i ringraziamenti, la speranza e la gioia erano rinate. Il Re, per tentare almeno di evitare la disgrazia profetizzata dalla vecchia, fece pubblicare subito una legge: con essa si proibiva, in tutto il reame e a qualunque persona, di filare col fuso, e di tenere fusi in casa, chiunque avesse disobbedito sarebbe stato punito con la morte.

Quindici o sedici anni più tardi il Re, la Regina e la Principessina oramai ragazza andarono in vacanza in una delle loro magnifiche ville di campagna. Lì accadde che la principessina, correndo su e giù per tutto il castello e passando da una stanza all’altra fino agli ultimi piani, curiosa com’era, capitò in cima ad una torre, in una piccola soffitta. Dove una buona vecchierella se ne stava a filare la lana con il fuso sola. Lei non aveva mai neppure sentito parlare della legge che proibiva i fusi ed il filato.

“che cosa state facendo buona nonnina?” disse la Principessina sorpresa di fronte a quello strano arnese.

“bella ragazza mia, filo la lana” rispose la vecchina che non conosceva la figliola del re.

“oh! Com’è carino!” esclamò la fanciulla “come si fa?” lasciatemi un po’ vedere se ci riesco anch’io!…”

Così dicendo cercò di afferrare ciò che la vecchina teneva in mano, non aveva ancora finito di prendere il fuso che, un po’ perché era tanto vivace e sbadatella, e un po’ perché la potenza delle Fate aveva voluto e deciso così, il fuso le sfuggì dalle dita e le punse il palmo della mano, facendola cadere a terra svenuta.

La povera vecchierella, tutta spaventata, si mise subito a gridare cercando un po’ d’aiuto, arrivò gente da tutte le parti: chi spruzzava acqua fresca in volto alla Principessina, chi le slacciava le vesti, chi le accarezzava le mani… tutto fu inutile… la fanciulla non si svegliò.

Il Re e la Regina, che, sentendo tante grida, erano giunti anche loro sulla torre, si ricordarono subito della predizione delle Fate e, sapendo che ci sarebbe stato ben poco da fare per cento anni, fecero trasportare la giovane Principessa addormentata nel più bel appartamento del Palazzo Reale e la misero sopra un letto meraviglioso tutto ricamato con fili d’oro e d’argento.

La buona Fata che aveva salvato la vita della Principessa, era allora nel regno di Mataquin, molto lontano da lì; ebbe però subito la notizia da uno spirito folletto che calzava gli stivali delle sette leghe (degli stivali con cui si facevano 7 kilometri ogni passo).

La Fata partì immediatamente e dopo un’ora tutti la videro arrivare al Palazzo Reale, sopra una carrozza fiammeggiante tirata da quattro draghi. Il Re andò a riceverla e a darle la mano per scendere dalla carrozza. Lei fu d’accordo con tutto quello che era già stato fatto ; ma previdente com’era, pensò che quando la Principessa si sarebbe svegliata, avrebbe avuto un grande spavento trovandosi sola in quel vecchio castello. E state a sentire cosa inventò!

Toccò con la bacchetta tutto quel che c’era nel palazzo, cose e persone (tranne il Re e la Regina): dame, damigelle, cameriere, gentiluomini, ufficiali, cuochi, guardie, paggi e staffieri. Toccò tutti i cavalli che erano nelle scuderie; e perfino la piccola Diana, la cagnolina della Principessa, che si era accucciata sul suo letto.

Appena toccati, tutti si addormentarono, per non svegliarsi più finché non si fosse svegliata anche la padrona, e per trovarsi pronti a servirla al momento del bisogno. Perfino gli spiedi che erano sul fuoco con le pernici e i fagiani, si addormentarono, e il fuoco si addormentò anche lui! E tutto in un batter d’occhio; le Fate erano svelte a quei tempi!

Allora il Re e la Regina, dopo aver baciato la loro adorata bambina, senza svegliarla uscirono dal castello; e fecero pubblicare la più terribili proibizioni di avvicinarsi a quel luogo. Proibizioni inutili; perché in un quarto d’ora tutto intorno al parco spuntò e crebbe una tale quantità di alberi grandi e piccini, arbusti, rovi e sterpi, carichi di spine, talmente intricati, che nessuno, uomo o animale che fosse, sarebbe stato in grado di passarvi attraverso. Non si vedeva altro che il comignolo delle torri del castello, e bisognava anche guardare da lontano. Si capisce che anche questa era una trovata della Fata, per allontanare i pericoli dalla Principessa, finché rimaneva addormentata.

Dopo cent’anni, il figlio del Re che a quel tempo regnava – e che apparteneva ad un’altra Dinastia – trovandosi a caccia da quelle parti, domandò che cos’erano quelle torri che si vedevano spuntar al di sopra di quella foresta così folta. Gli fu risposto da tutti secondo quello che avevano sentito dire. Uno raccontava che era un antico castello frequentato dagli spiriti; un altro che era la casa dove tutti gli stregoni e le streghe del vicinato si incontravano per fare le magie!

Il principe non sapeva a chi credere; finalmente un vecchio contadino si fece avanti e disse:

“Altezza Reale, più di cinquant’anni fa ho sentito raccontare dal mio povero babbo, che laggiù dentro al castello c’è una Principessa, la più bella che si sia mai veduta, condannata a rimanere là nel sonno per cent’anni; potrà essere svegliata solo da un Principe e a lui andrà in sposa.”

Sentito questo, il Principe s’infiammò; credette senza esitazione che sarebbe toccato a lui di portare a fine una così meravigliosa avventura. Spinto dall’amore e dal desiderio di gloria, prese la decisione di vedere subito quel che si poteva fare.

Appena si avvicinò al confine del bosco, immediatamente i grandi tronchi d’albero, gli sterpi e le spine, si scansarono di qua e di là per lasciarlo passare. Il Principe poté così dirigersi agevolmente verso il castello che si scorgeva in fondo ad un immenso viale, ad un certo punto si accorse però che le persone del seguito erano rimaste tutte indietro perché una volta passato lui, gli alberi si erano richiusi alle sue spalle, sbarrando nuovamente la strada. Ormai c’era, e tirò innanzi solo solo; un Principe giovane e innamorato fa sempre prodigi di valore.

E marcia e cammina, arrivò finalmente in un grande cortile dove tutto quello che gli si presentò avrebbe impietrito chiunque dallo spavento! C’era un silenzio che metteva paura, e ovunque l’immagine della morte era presente: non si vedeva altro che corpi di uomini e animali stesi per terra con tutte le apparenze di essere morti.

Guardando però i nasi gonfi e floridi e le facce rosse accese dei guardiaportoni, il Principe si accorse presto che essi non erano morti ma solo addormentati, e i loro bicchieri, dove c’era ancora qualche goccia di vino, dicevano chiaro che si erano addormentati bevendo.

Poi s’introdusse in un grande cortile tutto lastricato di marmo; salì per lo scalone, e passò per la sala delle guardie, che stavano tutte schierate in fila, con la loro brava carabina in spalla, russando come contrabbassi. Attraversò poi un’infilata di salotti popolati di gentiluomini e di dame addormentati; alcuni in piedi ed altri seduti. C’era in fondo una gran camera dorata fino al soffitto dove, sopra un magnifico letto, con le cortine rialzate da ogni lato, gli si offrì il più bello spettacolo che avesse mai veduto: una Principessa dell’apparente età di quindici o sedici anni, bella come un Amore, anzi risplendente come un Sole ma un sole addirittura divino. Si avvicinò a lei tremando per l’ammirazione, e si mise in ginocchio accanto a quel letto e baciò la Principessa addormentata. L’incantesimo era finalmente rotto, la Principessa si svegliò e guardando il giovane con occhi teneri d’amore gli disse:

“Siete voi, caro Principe? Oh! quanto vi siete fatto aspettare!”

Toccato dolcemente da quelle parole e più ancora dalla maniera gentile con cui erano state pronunciate, il Principe non sapeva come esprimere la sua felicità e la sua riconoscenza. Le disse che l’amava più di sè stesso; e aggiunse una quantità di frasi imbrogliate e confuse che. proprio per questo, piacquero di più. Dove l’affetto trabocca l’eloquenza inaridisce! Lui veramente era più imbarazzato di Lei e non c’è da meravigliarsi, perché la Principessa aveva avuto tempo di preparare il suo discorsino per il risveglio. Si può credere infatti (sebbene la storia non ne dica nulla) che in un sonno così lungo la buona Fata le avesse almeno procurato la distrazione di sogni piacevoli.

Frattanto tutto il castello si era destato con la Principessa. Ognuno aveva ripreso le sue faccende; e poiché gli altri non erano innamorati. avevano una fame da morire. La Dama d’onore di servizio, che sentiva più degli altri lo stimolo dell’appetito, perdette la pazienza e entrò in camera annunciando a voce alta che la minestra era a tavola.

Il Principe aiutò la Principessa ad alzarsi. Lei era già vestita. e vestita magnificamente: ma Lui si guardò bene dal farle osservare che era vestita alla moda della sua bisnonna, con un abito accollato fin sopra le spalle… non per questo era meno divinamente bella.

Passarono insieme nel salone degli specchi, e lì cenarono, serviti di tutto punto dagli ufficiali della Principessa. I violini e i contrabbassi suonarono nel frattempo delle arie antiche e deliziose quantunque nessuno le suonasse da più di un centinaio d’anni; e appena finito l’ultimo boccone, senza indugi, il grande Elemosiniere di Corte li sposò. celebrando le nozze nella cappella del palazzo.

All’alba il Principe lasciò sola la Principessa per tornare in città. dove suo padre doveva esser di certo preoccupato. Ma gli sciorinò un mondo di scuse e di bugie: raccontò che andando a caccia si era smarrito nel bosco, che aveva dormito sotto la capanna di un carbonaio. che aveva cenato con un boccone di pan nero e un morso di formaggio. Sua Maestà il Re babbo, che era una gran brava persona. credette a tutte le parole del figlio, ma la Regina madre ne restò poco persuasa. Anzi, osservando che il figliolo andava a caccia tutte la mattine, e aveva sempre in bocca un fatterello da raccontare per giustificarsi, quando aveva dormito fuori di casa due o tre notti di fila, indovinò che c’era sotto qualche imbroglio amoroso; e colse nel segno, perché il Principe tirò a lungo un paio d’anni, ed ebbe dalla Principessa due figli: il primo fu una bambina chiamata Aurora, e il secondo un maschio a cui misero nome Sole, visto che nacque ancor più bello della sua sorellina.

La Regina madre per non mancare al suo dovere, ribatteva sempre sul fatto che a questo mondo ognuno era libero di fare il proprio comodo, ma lui duro; non ebbe mai il coraggio di confidarle il suo segreto! Le voleva bene; ma ne aveva timore: lei veniva da una famiglia di Orchi, e il Re l’aveva sposata solamente a causa delle sue grandi ricchezze. C’era perfino a corte chi diceva sottovoce che la Regina conservava tutte le inclinazioni degli Orchi di casa sua: quando vedeva passare dei bimbi piccini, riusciva a stento a trattenersi dal saltar loro addosso per mangiarseli vivi. Per questa ragione il Principe stette sempre zitto, e fece benone.

Ma quando il vecchio Re morì il che avvenne dopo circa due anni — il Principe salì sul trono; e appena si sentì padrone di fare a modo suo rese pubblica l’esistenza del proprio matrimonio; finalmente poté recarsi in forma solenne a prendere la moglie nel castello dove era restata nascosta per oltre quattro anni. I popoli della capitale del Regno, dove Lei fece il suo ingresso con i due bambini per mano. le prepararono un’accoglienza trionfale.

Poco tempo dopo il nuovo Re partì per la guerra contro l’imperatore Cantalabutta suo confinante e affidò la reggenza alla Regina madre raccomandandole caldamente sua moglie e i suoi bambini per tutto il tempo della guerra, che doveva durare l’estate intera.

Appena lui ebbe voltato le spalle, la Regina madre mandò la nuora e i nipotini in una casa di campagna in mezzo ai boschi. per poter più facilmente levarsi la voglia orribile che la tormentava.

Un giorno o due più tardi anche la brutta Regina si recò alla villa sicura di poter finalmente realizzare i propri crudeli desideri, non attese neppure un giorno già la sera del suo arrivo chiamò il Maggiordomo e tranquillamente gli disse:

“Oh! Domani a pranzo voglio mangiare la piccola Aurora.”

“Ah! Maestà… ma le pare!” esclamò il Maestro di casa.

“Così voglio e così dev’essere” rispose la Regina madre, e lo disse col tono di voce dell’Orchessa che si strugge di mangiare la carne tenera.

“Me la cucinerete in salsa di pomodoro. Eh! Non c’era da ripetere!”… E quel povero diavolo del Maestro di casa accorgendosi che non era momento di fare osservazioni, preso il suo bravo coltellaccio, salì su nella camera della piccola Aurora.

La bimba poteva avere allora quattr’anni; venne ridendo incontro al Maggiordomo e gli saltò al collo per domandargli gli zuccherini!

Il Maggiordomo scoppiò in un pianto dirotto, il coltello gli cascò di mano… e il brav’uomo finì con lo scendere giù nella stalla dove sgozzò un agnellino. Ne ricavò una salsa così squisita, che la Regina madre disse di non avere mai mangiato niente di più appetitoso. Quanto alla piccola Aurora, il bravo servitore se l’era portata di soppiatto a casa sua, e l’aveva consegnata alla moglie perché la tenesse nascosta nell’appartamento che abitava in fondo al cortile.

Passarono altri otto giorni e la Regina Reggente disse la mattina al Maggiordomo:

“Stasera a cena voglio mangiare il bambino Sole.”

Acqua in bocca… questa volta il Maestro di casa non si provò neppure a fare osservazioni; tanto era già deciso d’ingannarla di nuovo!… Si mosse subito per cercare il piccolo Sole e lo trovò in camera sua con un fioretto in mano che tirava di scherma contro uno scimmiotto… e dire che aveva solo tre anni!…

Lo prese e lo portò da sua moglie, che lo tenne nascosto con la sorella Aurora; al posto suo fu scannato un capretto tenero tenero che la scellerata Orchessa trovò addirittura ghiotto.

Le cose fino a quel punto erano andate piuttosto bene… ma una sera la vecchia Regina disse al Maggiordomo:

“Domani a colazione mi voglio mangiare la mamma con la medesima salsa dei figlioli.”

Il povero Maggiordomo pensò con raccapriccio che un terzo inganno era assolutamente impossibile. La Regina giovane aveva vent’anni suonati; senza contare i cent’anni che aveva vissuto in sonno… doveva essere perciò di pelle piuttosto dura, malgrado l’avesse liscia e bianca, e nella stalla non c’era da trovare di sicuro una bestia che si avvicinasse a quel tipo!…

Sapete che cosa immaginò per salvarsi la vita?… Prese la risoluzio-ne di tagliar la gola alla Reginetta per davvero; e corse in camera di lei coll’intenzione di non pensarci due volte. Strada facendo cercava di convincersi e quando passò l’uscio col coltellaccio in mano non volle prenderla così di sorpresa, e con tutto il rispetto le comunicò l’ordine che aveva ricevuto dalla Regina madre.

“Fate pure, fate pure” disse la Reginetta porgendo il collo

“eseguite l’ordine, così andrò a ritrovare i miei figlioli, i miei poveri figlioli tanto cari, a cui volevo tanto bene!”

Da quando li avevano portati via senza avvertirla per nulla, lei credeva sicuramente che fossero morti.

“No, no, Maestà” rispose il buon Maggiordomo tutto intenerito

“no davvero, voi non morirete affatto e non per questo vi sarà impedito di rivedere i vostri bimbi. Li vedrete in casa mia dove li tengo nascosti e la vecchia Regina mangerà una cerva al vostro posto.”

La portò a casa dove la lasciò abbracciata e piangente con i suoi adorati figlioli e subito si avventurò nel bosco per cacciare qualche vecchio animale da servire a tavola al posto della buona Reginetta. la fortuna gli venne presto in aiuto facendogli trovare una cerva vecchia e piuttosto malandata; la catturò e se la caricò sulle spalle contento di avere così risolto il grosso problema in cui si trovava, corse a casa e si precipitò in cucina a mettere in salsa la cerva e per tutta la notte lavorò per preparare il pranzo alla crudele Regina. La brutta vecchiaccia l’indomani divorò con grande soddisfazione quanto le era stato servito e non si accorse della sostituzione che il Maggiordomo con tanta abilità aveva fatto.

La Regina era assai contenta della propria crudeltà e già si preparava a dire al Re, quando fosse ritornato dalla guerra, che i lupi avevano divorato la sua giovane sposa e i suoi due bambini.

Una sera, mentre, secondo il suo solito, passeggiava nei cortili e nelle corti di servizio del palazzo, per sentire almeno l’odori della carne cruda, sentì invece da una sala terrena i pianti de piccolo Sole che la mamma voleva castigare perché era stato cattivo e le preghiere di Aurora che chiedeva perdono per il suo fratellino.

Li riconobbe tutti e tre dalla voce e, furibonda per essere stata ingannata, comandò con una voce così terribile da far tremare tutti quanti, che si preparasse in mezzo al cortile d’onore una gran vasca, da riempirsi con rospi, vipere, bisce e serpenti, per gettarci dentro all’alba successiva, la Reginetta, i Principini, il Maggiordomo, sua moglie e la serva.

Appena fatto giorno, tutti erano stati trascinati nel mezzo della corte con le mani legate dietro alla schiena. Erano proprio sul punto di essere gettati nella caldaia quando il Re, che nessuno aspettava così presto, entrò a cavallo nel cortile.

Era appena arrivato con la diligenza della posta, in gran fretta… e tutto sorpreso domandò che cosa significava quello spettacolo ignobile e odioso. Nessuno osava dirgli la verità, e l’Orchessa, disperata di non poter ormai nascondere la propria natura, prese la rincorsa e si tuffò a capofitto nella vasca. Un momento dopo, tutte quelle bestiacce l’avevano divorata.

Il Re non mancò di addolorarsene. Volere o non volere, era sua madre!… Ma si consolò subito vedendo la gioia della sua amata Reginetta che stringeva i suoi piccoli figlioletti felici. La contentezza a palazzo fu grande e il Re fu lieto di vivere accanto alla sua bella moglie e ai suoi bambini adorati!

Condividi su: