C’era una volta una regina; aveva avuto molti figlioli, ma le era rimasta soltanto una figlia, che però ne valeva più di mille : la madre, essendo vedova, e non avendo nient’altro al mondo di così caro come quella principessina, aveva sempre una tale paura di perderla, che non pensava neppure a correggerla dei suoi vizi. E così, questa magnifica fanciulla, che sapeva di essere bella come una dea e si sapeva destinata ad essere regina, divenne talmente superba e vanitosa delle proprie virtù che disprezzava tutti quanti.
La Regina madre, con il suo affetto e la sua indulgenza, contribuiva a convincerla che nessuno al mondo poteva essere degno di lei; ella si aggirava quasi sempre vestita come Minerva o come Diana, seguita dalle più nobili dame della Corte in abiti da ninfe; come se non bastasse, per dare un ultimo tocco alla sua vanità. la Regina decise di chiamarla Tuttabella e, dopo averla fatta ritrarre dai più valenti pittori, ella mandò il dipinto a parecchi re con i quali era legata da una sincera amicizia.
Alla vista del ritratto, non vi fu alcuno che potesse sottrarsi all’inevitabile potere del suo fascino: alcuni si ammalarono, altri impazzirono, e i più fortunati giunsero indenni al cospetto di lei, ma non appena ella si mostrò, i poveri principi divennero suoi umili servitori.
Non s’è mai veduta una Corte più elegante e raffinata. Venti re, a gara. cercavano di farsi belli agli occhi della Principessa, e dopo aver speso quasi tutti i loro averi soltanto per dare una festa in suo onore, potevano ritenersi anche troppo fortunati se ella si degnava dir loro «che meraviglia!» e niente di più. L’ammirazione che ella suscitava rendeva felice la Regina; non passava giorno che alla Corte non giungessero setto od ottomila sonetti ed altrettante elegie, canzoni o madrigali. spedite a quell’indirizzo da tutti i poeti del mondo. Tuttabella era l’unico oggetto della poesia e della prosa dei suoi tempi; nessun fuoco di gioia veniva acceso se non con questi versi, i quali crepitavano e bruciavano meglio delle più secche qualità di legna.
La Principessa aveva ormai quindici anni: nessuno osava pretendere l’onore di sposarla, e nessuno non avrebbe sperato di farlo. Ma come poter commuovere un cuore tanto crudele? Anche se ci si fosse fatti uccidere cinque o sei volte al giorno. a lei sarebbe parsa una cosina da nulla. I suoi corteggiatori cominciavano a lamentarsi della sua crudeltà, e la povera Regina, che voleva darle marito, non sapeva che fare per deciderla a questo passo.
— Perché non volete, — le diceva talvolta — abbassare un pochino queste odiose arie che vi fanno disprezzare da tutti i re che si presentano alla nostra corte? Io voglio darvene uno come sposo; abbiate almeno un poco di rispetto nei miei confronti!
— Sto bene così,— le rispondeva Tuttabella — lasciate, Maestà, che io resti in questa beata indifferenza; se l’avessi già perduta, son sicura che la cosa non vi sarebbe per niente piaciuta!
— Sì, — replicava la Regina — non mi garberebbe che voi amaste qualcuno inferiore a voi; ma guardatevi attorno e osservate i vostri pretendenti: non ne esistono altri che possano lontanamente paragonarsi a loro!
Questo era vero; ma la Principessa, accecata dai suoi pregi, credeva di valer molto di più e a poco a poco, convinta come era nel voler rimanere zitella, cominciò a dare a sua madre tanti e tali dispiaceri che quest’ultima si pentì — ma troppo tardi! — di essere stata tanto indulgente.
Incerta sul da farsi e disperata, ella si recò sola soletta a trovare una famosa fata, chiamata la Fata del Deserto; ma non era facile raggiungerla, poiché ella era sorvegliata da terribili leoni. La Regina non avrebbe neppure rischiato di avvicinarsi, se da tempo non avesse saputo che bastava dar loro in pasto pezzi di una torta fatta con farina di miglio, zucchero candito e uova di coccodrillo; impastò lei stessa questa torta e la mise in un cestino che s’infilò al braccio, poi partì.
Non essendo abituata a camminare tanto a lungo, dopo qualche tempo, ella si sentì stanca, e coricatasi ai piedi di un albero per riposarsi un poco, senz’accorgersene si addormentò: quando aprì gli occhi il cestino era vuoto, la torta non c’era più, e per colmo di sfortuna, i leoni, i quali avevano fiutato la sua presenza stavano arrivando: già si udivano i loro ruggiti!
— Povera me, che fine farò! — esclamò gemendo — sarò certamente sbranata viva! — Piangeva a dirotto, e non avendo la forza di alzarsi per scappare, si stringeva all’albero sotto il quale si era addormentata; a questo punto, le sembrò di sentire fare «Gnam, gnam!» Si guardò intorno, e finalmente, alzando gli occhi, vede in cima all’albero un ornino non più alto d’un palmo: stava mangiando delle arance e le disse:
— Ohé, signora regina! Io so chi siete e so anche che tremate per la paura che i leoni vi sbranino: come se non bastasse, siete pure rimasta senza torta!
— Devo rassegnarmi a questa morte orribile, — disse la Regina sospirando
—povera me! Morirei almeno in pace se mia figlia fosse già sposata!
— Davvero? Avete una figlia? — esclamò il Nano Giallo (lo chiamavono così per il colorito della sua pelle e del melarancio dentro il quale abitava) — ne sono felicissimo, poiché per l’appunto sto cercando moglie per terra e per mare; decidete voi: se me la darete in sposa, io vi salverò dai leoni, dalle tigri, e anche dagli orsi!
La Regina lo osservò attentamente, e non fu meno spaventata da quell’orribile mostriciattolo, di quanto già non lo fosse dai leoni; restò come inebetita e non rispondeva nulla.
— Come? Esitate, signora? — lui gridò — si vede proprio che non vi interessa morire!
In quel momento, la Regina vide i leoni in cima a una collina, che si precipitavano verso di lei; avevano ciascuno due teste, otto piedi, quattro file di denti, la loro pelle era più robusta di quella della tartaruga e più rossa del marocchino. A tale vista, la povera Regina, tremando come una foglia al vento, gridò più forte che poté:
— Illustrissimo signor Nano, Tuttabella è vostra!
— Oh! — fece lui torcendo il naso — Tuttabella è troppo affascinante non so che farmene, tenetevela.
— Vi prego, illustrissimo, — continuava la Regina fuori di sé — sposatela: è la più bella principessa del mondo.
— Sta bene! — rispose lui — l’accetto proprio per pietà; ma ricordatevi che me l’avete regalata!
In quell’attimo il melarancio sul quale si trovava si aprì, la Regina vi si buttò dentro ad occhi chiusi, l’albero si richiuse e i leoni rimasero a bocca asciutta.
La Regina era così spaventata da non accorgersi che nell’albero c’era una porticina; finalmente la vide e l’aprì: dava su un campo incolto. Esso era circondato da un fossatello limaccioso, e un po’ più in giù si vedeva una capannuccia bassissima, ricoperta di paglia: ne uscì fuori il Nano Giallo tutto impettito: zoccoli ai piedi. una giacchetta gialla di velluto, calvo, due grandissime orecchie e una faccia da canaglia che non vi dico.
— Signora suocera, son felice, — disse alla Regina — che vediate il piccolo castello dove la vostra Tuttabella verrà a stare con me; ella potrà nutrire con queste ortiche e questi cardi un asinello che la porterà a passeggio; sotto questo rustico tetto, si proteggerà dal caldo e dal freddo; berrà l’acqua di questo stagno e mangerà i ranocchi che vi sguazzano; e per finire, mi avrà giorno e notte accanto a sé, bello. prestante e affascinante come mi vedete; poiché mi adirerei molto se la sua ombra dovesse farle più compagnia di me.
La povera Regina, immaginando tutt’a un tratto la vita meschina che il Nano riservava alla sua cara figliola, e non potendo sopportare una così orribile idea, si sentì mancare le forze e cadde a terra lunga distesa, svenuta e senza aver avuto il fiato per rispondergli una sola parola; ma intanto che ella era così priva di sensi, fu portata con ogni riguardo nel suo letto, con in testa una bellissima cuffietta da notte. guarnita dai più sgargianti nastri, che mai avesse indossato in tutta la sua vita.
Al suo risveglio, la Regina si ricordò di quel che le era successo, ma le sembrò tutto un incubo, poiché, vedendosi nel proprio castello, circondata dalle sue dame e con la figlia accanto, non pareva verosimile che ella fosse stata nel deserto, vi avesse corso così grandi pericoli e ne fosse stata salvata dal nano a una così crudele condizione come quella di promettergli Tuttabella. Però quella cuffietta d’un pizzo così raro, e quel nastro, la sconcertavano non meno del sogno che credeva di aver fatto cosicché, angosciata da questi pensieri, ella piombò in una malinconia così tetra che quasi non riusciva più a parlare, né a mangiare, né a dormire.
La Principessa, che la amava molto, cominciò a preoccuparsene assai; la pregò più volte di dirle cosa aveva: ma la Regina, schernendosi, le rispondeva o che era tutta colpa della sua incerta salute, o che qualcuno dei suoi vicini stava minacciando di farle guerra. Tuttabella capiva bene che queste risposte erano logiche; pensava però che, in fondo in fondo, vi doveva essere qualche altro motivo, e la Regina si studiava di nasconderglielo.
Oppressa da un’angoscia che non riusciva più a dominare, ella decise di andare a trovare la famosa Fata del Deserto, la cui saggezza faceva tanto scalpore dappertutto; voleva anche chiederle consiglio per sapere se dovesse restare zitella oppure sposarsi, poiché da ogni parte la volevano maritata. Ella si preoccupò d’impastare personalmente la famosa torta destinata a placare l’avidità dei leoni; poi, una sera. fingendo di coricarsi presto, uscì servendosi d’una scaletta segreta, col viso coperto da un lungo velo bianco che le scendeva fino ai piedi; così, sola soletta si mise in cammino verso la grotta dove abitava la saggia fata.
Ma giunta al fatale melarancio che già conosciamo, ella lo vide così carico di frutta e di fiori che le venne una gran voglia di coglierne; posò il cesto per terra. colse alcuni aranci e li mangiò. Ma quando si voltò per prendere il cesto e la torta. apriti cielo, ogni cosa era sparita! Tuttabella cerca, si affanna, si addolora e improvvisamente vede accanto a sé l’orribile mostriciattolo di cui abbiamo già parlato.
— Cos’avete, bella ragazza, perché vi disperate? — chiese lui.
— Povera me! Come potrei non disperarmi? — ella rispose. — Ho perduto il cesto con la torta che mi erano indispensabili per giungere sana e salva dalla Fata del Deserto.
— Eh! Che ci volete fare, bella ragazza? — disse il nanerottolo.
— Io sono suo parente, amico suo, e per lo meno altrettanto saggio quanto lei!
— La Regina mia madre, — continuò la Principessa — da un po’ di tempo in qua è caduta in una malinconia così sconsolata che mi fa temere per la sua vita: credo, forse, di esserne io la causa, poiché lei desidera che io mi sposi; vi confesso di non aver trovato ancora nessuno che sia degno di me; per tutte queste ragioni volevo parlare alla Fata.
— Non è necessario, Principessa, — disse il Nano — sono più esperto di lei per informarvi su queste cose. La Regina vostra madre è molto triste per avervi promessa in sposa.
— La Regina mi ha promessa! — disse lei interrompendolo. — Ah! certamente, vi ingannate, me l’avrebbe detto, e la faccenda mi riguarda troppo perché lei mi prometta a qualcuno senza il mio consenso.
— Bella Principessa, — le disse il Nano gettandosi improvvisamente ai suoi piedi — spero che tale scelta non vi dispiacerà, quando vi avrò detto che sono io ad essere destinato alla vostra mano.
— Mia madre vi vuole per genero! — esclamò Tuttabella indietreggiando di qualche passo. — È mai esistita una pazzia simile alla vostra?
— Tale onore, — disse il Nano stizzito — m’interessa ben poco: ma ecco i leoni che si avvicinano per sbranarvi, con tre morsi mi avranno vendicato della vostra alterigia.
E in quel momento, la povera Principessa li sentì arrivare con terribili ruggiti. — Che fine farò? — esclamò lei — povera me! La mia giovinezza deve finire così?
Il perfido nano la guardava e rideva sotto i baffi:
— Avrete almeno il merito di morire zitella! — le disse —e di non macchiare la vostra nobiltà imparentandovi con un miserabile nano come me.
— Per carità, non prendetevela, — gli disse la Principessa supplicandolo a mani giunte: — preferirei sposare tutti i nani del mondo piuttosto che morire in modo così atroce!
— Osservatemi bene, Principessa, prima di darmi la vostra parola. — egli insisté — perché non ambisco passare per quello che non sono.
— Ma vi ho guardato, vi ho guardato, — disse lei — i leoni sono vicini. mi tremano le gambe, salvatemi, salvatemi, o morirò di terrore!
Difatti non aveva finito di dire queste parole che perse i sensi; senza sapere come, si ritrovò nel suo letto con indosso la più bella camicia da notte del mondo, i più bei fiocchi, e un anellino, fatto d’un unico capello rosso, e così stretto che le sarebbe stato più facile strapparsi la pelle che sfilarselo.
Quando la Principessa si accorse di tutto questo e ricordò quello che era accaduto la notte, fu presa da una tristezza che stupì e preoccupò tutta la Corte; la Regina ne fu più allarmata di ogni altro; le chiedeva e richiedeva cosa avesse, ma lei era decisa a nasconderle la propria avventura.
Alla fine tutti gli Stati del reame, impazienti di veder sposata la loro cara Principessa, si riunirono in consiglio e vennero quindi a trovare la Regina, per convincerla a sceglierle uno sposo il più presto possibile. Ella rispose che non chiedeva di meglio, ma sua figlia dimostrava a riguardo una tale ripugnanza che consigliava loro di andare a parlarle e di sgridarla per benino: non se lo fecero ripetere.
Tuttabella aveva abbassato un bel po’ le arie dopo la brutta avventura col Nano Giallo; non vedeva ormai un modo migliore per cavarsi dai guai che quello di sposare un grande re, con il quale quel buffo mostriciattolo non avrebbe potuto contendere una così magnifica conquista. Le sue risposte furono dunque più dimesse di quanto si sperava: ella diceva che sarebbe stata felice di poter restare zitella per sempre, tuttavia poiché era necessario acconsentiva a sposarsi col Re delle Miniere d’Oro; questi era un sovrano potentissimo e molto bello, il quale da parecchi anni l’amava con tutto il cuore e che, sino a quel momento, non aveva avuto alcun motivo di sperare di essere contraccambiato.
È facile immaginare quale fu la sua gioia nell’apprendere una così lieta notizia, e la rabbia di tutti i suoi rivali nel dover abbandonare per sempre una speranza che la passione accresceva! Ma Tuttabella non poteva sposare venti pretendenti; già aveva tanto esitato a sceglierne uno, poiché la sua vanità non era davvero diminuita, e lei era ancora convinta che nessuno al mondo poteva essere degno di lei.
Si fecero i preparativi per la più grande festa di tutta la terra: il Re delle Miniere d’Oro si fece mandare somme di denaro tanto cospicue che tutto il mare brulicava di navi destinate a portargliele; si fece cercare presso gli Stati più ricchi e raffinati, e specialmente in Francia, tutto quel che c’era di più raro, per poter agghindare degnamente la Principessa; ella aveva bisogno meno di un’altra di tutte quelle cose che mettono in risalto la bellezza: la sua era così pura che non c’era da aggiungervi nulla; il Re delle Miniere d’Oro, vistosi prossimo a coronare il suo sogno d’amore, non si allontanava un attimo dall’incantevole Principessa.
Poiché aveva interesse a conoscerlo, ella cominciò a considerarlo attentamente e gli scoprì tante virtù, tanta intelligenza, sentimenti così vivi e al tempo stesso dolci, insomma, un’anima tanto gentile in un corpo così perfetto, che cominciò a provare per lui qualcosa di simile a ciò che egli provava per lei.
Quali felici momenti per ambedue, quando, nel più bel parco del mondo, essi
potevano rivelarsi spontaneamente tutto il loro amore! Tali gioie erano spesso accompagnate dai piaceri della musica; il Re, sempre galante e innamorato, scriveva poesie o canzoni in onore della Principessa. Una fra queste le piacque particolarmente:
Questi boschi, vedendovi,
si son di foglie ornati,
E questi prati splendono di graziosi colori,
Ai vostri piedi Zefiro fa sbocciar mille fiori,
Raddoppiano i gorgheggi gli uccelli innamorati,
In questi luoghi ameni
Tutto vi arride in sembianti sereni.
Alla Corte si scoppiava di gioia. Solo i rivali del Re, disperati per la sua fortuna se ne erano tornati nei loro Reami, prostrati dal più vivo dolore: l’assistere matrimonio di Tuttabella era troppo per loro! Ma la salutarono in modo co commovente che ella non poté fare a meno di commuoversi per la loro sorte.
— Ah, mia Principessa! — le disse il Re delle Miniere d’Oro. — Che scherzi sono questi? Voi accordate la vostra pietà a degli spasimanti che uno solo dei vostri sguardi ha già fin troppo ricompensato delle loro pene!
— Mi dispiacerebbe, — rispose Tuttabella — che voi foste indifferente al pietà che ho dimostrata a quei re che mi perdono per sempre; le vostre rimostranze sono una prova del vostro affetto e le considero tali, ma signore, la loro situazione, com’è infelice! Voi dovete esser orgoglioso di me, loro invece, hanno così poco motivo di vantarsene che non è giusto spingiate più oltre la vostra gelosia!
Il Re delle Miniere d’Oro, mortificato per il modo pacato col quale la Principessa parlava di una cosa che avrebbe potuto offenderla, si gettò ai piedi di lei. baciandole le mani, le domandò umilmente scusa.
Finalmente, il giorno tanto atteso e tanto desiderato arrivò: erano stati fai tutti i preparativi per le nozze di Tuttabella; pifferi e trombe annunciavano grande avvenimento in tutto il Reame; le strade erano ricoperte da un tappeto fiori; la gente accorse sul grande piazzale dinanzi al palazzo; la Regina, al settimo cielo, non aveva fatto neppure in tempo a coricarsi, che già si era alzata p impartire gli ordini necessari e scegliere le pietre preziose destinate ad adornare Principessa: ella non portava che diamanti, ma ne aveva ovunque, perfino le si scarpe ne erano tempestate e sul suo vestito di broccato d’argento erano ricamati una dozzina di raggi di sole costosissimi! Era proprio il caso di dire che non v’e nulla di più brillante, e che soltanto la bellezza della giovane Principessa poteva dirsi ancora più splendente! Un ricco diadema le ornava il capo; le chiome scendevano in boccoli fino ai piedi, e l’eleganza della sua persona spiccava fra tutte le dame che l’accompagnavano.
Il Re delle Miniere d’Oro non era meno elegante né sfarzoso: la felici traspariva dal suo volto e da tutti i suoi gesti; nessuno che lo avvicinasse. allontanava da lui senza aver ricevuto una grazia o senza un ricco obolo: difatti. e aveva fatto sistemare attorno alla sala dei festeggiamenti mille barili pieni d’oro grandi sacchi di broccato ricamato di perle, destinati ad essere colmati di zecchini sonanti; ognuno di essi poteva contenerne centomila, e li si distribuiva sen distinzione a tutti quelli che tendevano la mano. e così questa strana cerimonia. c non era una delle meno utili e piacevoli della festa. vi attirò molte persone accorse solo per quello.
La Regina e la Principessa, prima di raggiungere il Re ed uscire con lui. stavano attraversando un lungo porticato, quando videro entrare due grossi galli d’India, i quali trainavano una brutta scatola tutta rotta; li seguiva una vecchia, la cui decrepitezza non era meno sorprendente della sua ripugnanza: ella si appoggiava a una stampella, portava un collare arricchito di seta nera, un cappello di velluto rosso, un guardinfante a brandelli; senza parlare fece tre giri coi suoi galli d’India. poi, fermandosi nel bel mezzo del porticato e afferrando la stampella con aria minacciosa:
— Ehi voi, Regina, e voi, Principessa, — esclamò — a quanto sembra, credete di poter impunemente ingannare il Nano Giallo, mio ottimo amico? Io son la Fata del Deserto; senza il suo aiuto, senza il suo melarancio, non sapete forse che i miei terribili leoni vi avrebbero sbranate? Nel regno delle fate tali ingiurie non si sopportano: decidete subito il da farsi poiché, lo giuro per il mio cuffione, voi diventerete sua moglie oppure la mia stampella vi dirà il fatto suo!
— Ah, figlia mia, — disse la Regina sconvolta, — cosa sento? Che mai avete promesso?
— Ah, madre cara, — rispose piangendo Tuttabella — e voi, allora, che avete promesso? Il Re delle Miniere d’Oro, allibito per quel che vedeva e per il fato che la perfida vecchia venisse a ritardare la sua felicità, si fece avanti con la spada sguainata e, puntandogliela alla gola:
— Disgraziata, — le disse — vattene per sempre da questa terra, oppure la tua morte mi vendicherà della tua cattiveria!
Non aveva ancora pronunciato queste parole che il coperchio della scatola si sollevò con un orribile rumore e schizzò fino al cielo: ne balzò fuori il Nano Giallo, su un gatto spagnolo, il quale si interpose fra la Fata del Deserto e il Re delle Miniere d’Oro.
— Giovane coraggioso, — gli disse — che non ti venga in mente di offendere quest’illustrissima fata; è soltanto con me che tu hai a che fare: sono io il tuo rivale, il tuo avversario; l’infedele Principessa che adesso ti vuole sposare, diede a me la sua parola, e ricevette la mia; guarda un po’ se non porta un anello fatto con uno dei miei capelli; prova a sfilarglielo, e la cosa ti farà capire come il tuo potere sia di gran lunga inferiore al mio.
— Miserabile nano — disse il Re, — come puoi avere il coraggio di professarti spasimante della mia divina Principessa e di pretendere un così glorioso possesso? Ma non t’accorgi che sei un mostriciattolo, la cui odiosa figura fa star male, e che ti avrei già ammazzato, se tu fossi degno di una morte così gloriosa?
Il Nano Giallo, indignato nel profondo dell’anima, appoggiò lo sperone nel ventre del gatto che cominciò a miagolare in modo straziante, e saltando qua e là, faceva indietreggiare tutti, tranne il prode Re, il quale si faceva sempre più vicino al Nano, quando a un certo punto, questi afferrò un largo coltellaccio di cui era armato, e sfidando il Re a duello, uscì nel piazzale davanti al palazzo accompagnato da uno strano fragore.
Il Re, adirato, lo seguì di gran fretta. Non appena furono l’uno di fronte all’altro e davanti a tutta la Corte affacciata ai balconi, il sole, all’improvviso, si fece rosso come se fosse stato coperto di sangue, e si ottenebrò a tal punto che a malapena ci si vedeva: tuoni e fulmini sembravano voler annunciare il diluvio universale; i due galli d’India apparvero ad accompagnare il perfido Nano quali due giganti alti come montagne, e gettavano fuoco e fiamme dagli occhi e dalla bocca con tale abbondanza che li si sarebbe scambiati per una fornace ribollente.
Tutte queste cose non sarebbero bastate a intimorire il coraggioso cuore del nostro giovane monarca; negli sguardi e nei gesti egli si mostrava così temerario da tranquillizzare tutti coloro che tremavano per la sua vita e da mettere forse in imbarazzo il Nano Giallo. Ma il suo coraggio non fu in grado di resistere alla prova. quando egli vide in quale stato era ridotta la sua cara Principessa: la Fata del Deserto, più crudele di una furia, con la testa brulicante di serpenti, a cavallo di un grifone alato e armata di una lancia, la colpì con tanta forza che la povera Principessa si lasciò cadere fra le braccia della Regina, tutta bagnata del proprio sangue. La tenera madre, più atrocemente ferita di quanto non lo fosse stata sua figlia. cominciò a piangere e a straziarsi in indicibili gemiti.
Allora la saggezza e il coraggio abbandonarono il Re; egli lasciò il campo, e si precipitò a soccorrere la Principessa o a morire con lei; ma il Nano Giallo non gli lasciò il tempo di raggiungerla: montando il suo gatto spagnolo, saltò sul balcone dove lei si trovava, la strappò dalle mani della Regina e delle dame, poi, balzando sul tetto del palazzo scomparve con la sua preda.
Il Re immobile, esterefatto, e al colmo della disperazione, era lì, costretto ad assistere a fatti così incredibili senza poter far nulla per impedirlo, quando, per colmo di sfortuna gli parve che i suoi occhi si velassero, non vide più la luce, e contemporaneamente si sentì sollevare in cielo da un essere misterioso dalla forza prodigiosa… Quante sciagure! Amore, o crudele Amore, è questo il modo di trattare quelli che ti riconoscono per loro padrone?
La perfida Fata del Deserto era venuta con il Nano Giallo per aiutarlo a rapire la Principessa, ma non aveva ancora visto il bel Re delle Miniere d’Oro, che il suo crudele cuore non aveva potuto resistere al fascino del giovane principe: senza pensarvi due volte lo rapì e lo condusse in fondo a un orribile antro, dove lo legò con molte catene alla roccia; ella sperava che il terrore d’una morte imminente gli avrebbe fatto presto dimenticare Tuttabella e lo avrebbe convinto ad assecondare le sue mire.
Arrivati alla grotta, la Fata gli rese la vista, senza però rendergli la libertà, e servendosi delle sue arti magiche per ottenere la grazia e le bellezze che la natura le aveva negate, ella gli apparve sotto l’affascinante aspetto di una ninfa capitata per caso in quei luoghi.
— Cosa vedono i miei occhi? — ella esclamò. — Come, siete voi, amabile Principe? Quale sventura vi colpisce e vi trattiene in così orribile luogo?
Il Re, abbagliato da quelle ingannevoli apparenze gli rispose:
— Ahimé, mia bella ninfa, io non so che cosa desidera la furia diabolica che mi ha condotto qui; ma, benché mi abbia tolto l’uso della vista, quando mi ha rapito, e benché da allora non mi sia apparsa, non ho dubitato tuttavia a riconoscere dalla sua voce che si tratta della Fata del Deserto.
— Ah, signore! —esclamò la falsa ninfa. — Se siete caduto nelle mani di quella megera, voi non ve ne libererete senza prima averla sposata; ella ha giocato uno scherzo simile a più d’un eroe, e non esiste al mondo una persona più testarda nei suoi propositi.
Intanto che ella fingeva di partecipare al dolore del Principe, egli scorse i piedi della ninfa, che erano simili a quelli d’un grifone: era questo il segno da cui la Fata si poteva riconoscere in tutti i suoi travestimenti; poiché per quanto concerneva i piedi di grifone, lei non poteva cambiarli.
Il Re fece finta di nulla, e parlandole in tono confidenziale:
— Io non ho nulla contro la Fata del Deserto, — disse — ma non tollero che ella aiuti il Nano Giallo contro di me e mi tenga imprigionato come un delinquente. Cosa le ho fatto? Ho amato un’incantevole principessa, ma so benissimo che se la Fata mi restituisce la libertà, la riconoscenza farà sì che io dia a lei il mio amore.
— Dite sul serio? — gli chiese la ninfa ingannata.
— Certamente, — rispose il Re — non sono un bugiardo; anzi, vi confesso che una fata può appagare maggiormente la mia vanità che non una qualunque principessa; però, anche se dovessi morire d’amore per lei fingerei d’odiarla sino a quando non mi avesse ridato la libertà.
La Fata del Deserto, ingannata da queste parole, decise di portare il Re in un luogo altrettanto ameno quanto era orribile quella spelonca e quindi, invitandolo a salire nel suo cocchio, al quale aveva attaccato dei cigni al posto dei pipistrelli che generalmente lo conducevano, ella volò all’altro polo.
Ma cosa fu del Principe quando, dal cielo, egli vide la sua cara Principessa prigioniera in un castello tutto d’acciaio le cui mura, colpite dai raggi del sole, divenivano altrettanti specchi accecanti i quali incenerivano tutti coloro che volevano avvicinarvisi? Ella si trovava dentro la sua cerchia, in un boschetto, accasciata accanto a una fonte: aveva un braccio piegato sotto il capo e con l’altra mano sembrava asciugarsi le lacrime: alzando gli occhi al cielo come per chiedere soccorso, vide passare il Re con la Fata del Deserto la quale allora, grazie ai suoi artifici. apparve agli occhi della Principessa come la più bella fanciulla del mondo.
— Povera me! — ella esclamò. — Non sono forse abbastanza infelice in questo inaccessibile castello, dove l’orribile Nano Giallo mi tiene prigioniera? E adesso. per colmo di sventura, occorre che anche il demone della gelosia mi venga a torturare? È necessario che, dopo una così straordinaria avventura, io venga a sapere che il Re delle Miniere d’Oro mi tradisce? Di certo egli ha creduto, non vedendomi più, d’essersi svincolato da tutte le promesse che mi ha fatto. Chi mai sarà quella pericolosa rivale la cui bellezza è superiore alla mia?
Mentre ella ragionava così, il Re innamorato provava un dolore lacerante per doversi allontanare così velocemente dal caro oggetto dei suoi desideri. Se egli avesse creduto la Fata meno potente, avrebbe fatto tutto il possibile per allontanarsi da lei, o tentando d’ucciderla, o in qualche altro modo suggeritogli dal suo amore e dal suo coraggio: ma che poteva fare contro una creatura così malvagia? Soltanto il tempo e l’astuzia potevano liberarlo da lei.
La Fata aveva scorto Tuttabella e cercava negli occhi del Re di scoprire l’effetto che quella vista aveva prodotto nel suo animo.
— Nessuno meglio di me, — egli le disse — può dirvi quel che volete conoscere: l’incontro imprevisto con un’infelice principessa per la quale un tempo ho provato un certo affetto, prima d’innamorarmi di voi, mi ha un poco scosso; ma nel mio cuore voi siete talmente importante che preferirei morire piuttosto che tradirvi.
— Ah, Principe, — disse lei — potrò mai sperare di avervi ispirato sentimenti così lusinghieri per me?
— Il tempo ve ne convincerà. signora. — lui rispose — ma se volete darmi la prova del vostro amore non rifiutatemi il vostro aiuto per liberare Tuttabella.
— Vi rendete conto di quel che mi chiedete? — gli disse la Fata aggrottando le sopracciglia e storcendo il capo. — Se non erro, voi volete che adoperi la mia magia contro il Nano Giallo che è il mio miglior amico; dovrei sottrarre dalle sue mani una vanitosa principessa che io non posso considerare altrimenti che come una nemica?
Il Re sospirò e non rispose nulla; che avrebbe potuto rispondere a una persona così acuta?
Arrivarono in un verde prato, tutto smaltato da mille fiori diversi; un fiume profondo lo circondava e parecchie fonti sorgive scorrevano dolcemente sotto alberi fronzuti, dove si respirava una perpetua frescura; si vedeva lontano ergersi un meraviglioso palazzo, le cui mura erano di trasparente smeraldo. Non appena i cigni che conducevano la Fata furono scesi sotto un porticato, il cui pavimento era di diamanti e il soffitto di rubini, sbucarono da ogni parte mille belle fanciulle che le vennero incontro festose; esse cantavano le seguenti parole:
Quando Amore su un’anima vuole aver la vittoria,
Ogni sforzo a resistergli non può nulla ottenere;
Non si fa che aumentare la sua gloria,
E i più forti per primi cedono al suo potere.
La Fata del Deserto era tutta lusingata nel sentir cantare il suo amore; ella condusse il Re nel più elegante appartamento che mai si sia visto in memoria di fata. e lo lasciò momentaneamente affinché non si credesse del tutto prigioniero; lui sospettò che non si fosse allontanata troppo e che, nascosta, ella spiasse quel che lui faceva; questo lo spinse ad avvicinarsi a una specchiera, e rivolgendosi a se stesso:
— Fedele consigliere — gli disse — fa’ che io veda quel che posso fare per ingraziarmi l’incantevole Fata del Deserto; poiché il desiderio di piacerle non mi dà più pace —. E qui si pettinò, s’incipriò, si mise perfino un finto néo e scorgendo su un tavolo un abito più splendido del suo, lo indossò velocemente.
Allora la Fata entrò nella stanza, pazza di gioia, al punto che non riusciva a frenarsi.
— Vi sono riconoscente, — gli disse — di tutta la pena che vi date per piacermi. ma ne avete scovato il segreto anche senza cercarlo; dunque vedete signore, se la cosa vi sarà difficile non appena voi la vorrete!
Il Re, che aveva i suoi validi motivi per fare un sacco di salamelecchi alla vecchia fata, non si risparmiò, e si conquistò a poco a poco la libertà di poter camminare lungo la riva del mare. La Fata aveva reso quel mare, con la sua magia. così terribile e tempestoso che non vi era un timoniere abbastanza temerario per osare affrontarlo; e quindi lei non aveva nulla da temere dall’accondiscendenza avuta verso il suo prigioniero; egli provò un certo sollievo ai suoi dispiaceri nel poter liberamente rincorrere i propri pensieri senza essere sempre disturbato dalla sua malvagia aguzzina.
Dopo aver passeggiato abbastanza a lungo sulla spiaggia. si chinò e con un bastoncello che aveva in mano scrisse sulla sabbia i versi seguenti:
Finalmente son libero
Di sfogare il mio affanno in lungo pianto.
Ahi, più non vedo la beltà adorabile
Di colei che mi tiene nel suo incanto.
Tu tempestoso mar, mare terribile
Che questa spiaggia rendi inaccessibile
Agli esseri viventi,
Tu sospinto dai venti
Or fino al cielo ed ora fino agli inferi,
Il mio cuore è a te simile:
Non men di te agitato,
Anzi vieppiù turbato.
O Tuttabella, o barbaro destino!
O ciel, la cui sentenza
M’ha condannato a sì crudele assenza,
Non risparmiarmi un colpo repentino!
Divinità dell’onde,
Voi che sapete il potere d’amore
Uscite fuor dalle grotte profonde,
Soccorrete al mio misero dolore!
Mentre scriveva, udì una voce che, suo malgrado, attirò tutta la sua attenzione, e nel vedere le onde diventare sempre più alte, egli guardava da tutte le parti. quando vide emergere una donna di straordinaria bellezza; ella non era vestita che dalle sue folte chiome, dolcemente agitate dal vento, fluttuavano sul mare. In una delle mani teneva un pettine, nell’altra uno specchio e una lunga coda di pesce squamosa terminava il suo corpo. Davanti a una così meravigliosa visione il Re rimase senza parole ed ella, non appena fu abbastanza vicina per farsi sentire, così gli parlò:
— So bene tutta la malinconia che vi tormenta per la lontananza dalla vostra Principessa, e per colpa della strana passione che la Fata del Deserto nutre per voi; se volete, posso trarvi in salvo da questo luogo infernale dove altrimenti potrete anche languire per anni e anni!
Il Re, a tale proposta, non sapeva cosa rispondere; non che gli piacesse rimanere prigioniero, ma aveva paura che la Fata del Deserto avesse preso questo nuovo sembiante per ingannarlo. Mentre egli esitava, la Sirena, che aveva indovinato i suoi pensieri, gli disse:
— Non crediate che io vi giochi un brutto tiro, sono troppo sincera per voler favorire i vostri nemici: tutti i soprusi della Fata del Deserto e del suo Nano Giallo mi hanno convinta ad odiarli; io vedo ogni giorno la vostra infelice Principessa: la sua bellezza e le sue virtù mi muovono a compassione e, ve lo ripeto, se avete un poco di fiducia in me, sono disposta a salvarvi.
— La mia fiducia in voi è così incondizionata, — esclamò il Re — che farò tutto ciò che mi direte; ma, poiché avete visto la mia Principessa, non indugiate a darmi sue notizie.
— Non perdiamo troppo tempo in chiacchiere, — disse lei — venite subito con me, vi porterò al palazzo d’acciaio, e lascerò su questa spiaggia un fantoccio così simile a voi che la stessa Fata sarà ingannata.
E ammassando delle alghe ne fece un fantoccio, poi, soffiandovi sopra per tre volte:
— Alghe marine, amiche care, — disse, — vi comando di starvene distese sulla sabbia, immobili, sino a quando la Fata del Deserto non venga a prendervi.
Le alghe si trasformarono e assunsero un aspetto così simile a quello del Re delle Miniere d’Oro. che egli non poteva credere ai suoi occhi; si rivestirono d’un abito uguale al suo e presero un colorito pallido e stravolto. come quello d’un annegato; nel frattempo la buona sirena pregò il Principe di sedersi sulla sua coda di pesce e ambedue presero il largo con uguale soddisfazione.
— Ed ora posso dirvi — continuò la Sirena — che, quando il cattivo Nano Giallo ebbe rapito Tuttabella, la sistemò, malgrado fosse gravemente ferita, dietro di sé, in groppa al suo terribile gatto spagnolo; ella perdeva tanto sangue ed era così stravolta per l’accaduto che le forze le venirono a mancare e rimase svenuta durante tutto il tragitto; ma il Nano Giallo non volle fermarsi a soccorrerla sin quando non fosse stato al sicuro nel suo inespugnabile palazzo d’acciaio: gli andarono incontro le più belle fanciulle del mondo che egli aveva condotto fin lì. Queste fecero a gara a dimostrargli la loro cura nel servire la Principessa; ella fu coricata in un letto di broccato d’oro e trapunto di perle più grosse che nocciole.
— Me misero! — esclamò il Re delle Miniere d’Oro interrompendo la Sirena.
— E così l’ha sposata, mi sento svenire, addio! Muoio!
— No, — disse lei — per carità, signore, state tranquillo: la fermezza di Tuttabella ha saputo proteggerla dai soprusi dell’orribile nano.
— Continuate allora — disse il Re.
— Che altro ho da dirvi? — continuò la Sirena. — Lei si trovava nel boschetto quando voi siete passato; vi ha visto insieme alla Fata del Deserto (ella era così trasformata che le sembrò di una bellezza superiore alla sua) e non si può immaginare la sua disperazione: crede che l’amiate!
— Crede che io l’ami! Santi Numi! — esclamò il Re — come ha potuto ingannarsi così e che debbo fare perché mi creda?
— Consultate la vostra anima — rispose la Sirena con un dolce sorriso — per chi ama davvero non occorrono consigli!
Nel dir queste parole arrivarono al castello d’acciaio; la parte verso il mare era la sola che il Nano Giallo non avesse rivestito di quelle terribili muraglie che incenerivano chiunque si avvicinasse.
— Io so benissimo — disse la Sirena al Re — che Tuttabella si trova vicino a quella stessa fonte ove la vedeste volando nel cielo; ma, poiché prima di giungervi. avrete degli avversari da combattere, ecco una spada con la quale potrete affrontare qualsiasi impresa e ogni pericolo, a patto che non la lasciate cadere. Addio. adesso vado a ripararmi in quella grotta che vedete; se vi occorre aiuto per condurre a buon fine la vostra avventura con la Principessa, non vi abbandonerò: la Regina sua madre è la mia miglior amica ed è per servirla che sono venuta a liberarvi. Detto questo, ella consegnò al Re una spada fatta d’un unico diamante; i raggi del sole brillano di meno; egli ne comprese tutta l’utilità e non potendo trovare parole abbastanza calorose per mostrarle la sua riconoscenza la pregò di supplirvi immaginando tutto quel che un cuore gentile può provare quando si sente grato fino a tal punto.
Ma qui bisogna spendere qualche parola per la Fata del Deserto. Non vedendo tornare il suo leggiadro innamorato, ella si affrettò ad andarlo a cercare; si recò alla spiaggia accompagnata da cento ancelle tutti incaricate di offrire al Re splendidi regali.
Alcune portavano grandi panieri tutti pieni di diamanti, altre vasi d’oro meravigliosamente cesellati, più d’una recava ambra grigia, coralli, perle; certe portavano sulla testa rotoli di stoffa d’indescrivibile sfarzosità, altre ancora frutta, fiori e perfino degli uccelli!
Quale fu la meraviglia della Fata, che camminando precedeva la folta ed elegante compagnia, quando scorse il fantoccio d’alghe marine, così somigliante al Re delle Miniere d’Oro che nessuno avrebbe potuto riscontrarvi la minima differenza! A tale vista, sbalordita e folle per il dolore, ella lanciò un urlo così straziante da penetrare i cieli, far tremare i morti e risuonare fin nell’inferno.
Divenuta una strega furiosa della quale né Aletto né Tisifone avrebbero saputo assumere un aspetto più terrificante, ella si gettò sul corpo del Re, pianse, gridò, uccise cinquanta delle più belle fanciulle che l’avevano scortata, immolandole così ai Mani del caro morto. Poi chiamò a sé undici sorelle che aveva, tutte fate come lei, pregandole di aiutarla a innalzare un superbo sepolcro al giovane eroe. Non ve ne fu una che si accorgesse dell’imbroglio. Un caso simile vi stupirà abbastanza, poiché le Fate sapevano tutto, ma l’astuta Sirena ne sapeva ancora di più.
Nel mentre che quelle facevano portare marmo, diaspro, agata, porfido, statue, stemmi, oro e bronzo per immortalare la memoria del Re che credevano defunto, quest’ultimo stava ringraziando la gentile Sirena e la supplicava di accordargli la sua protezione; ella s’impegnò a farlo con la più squisita gentilezza del mondo e scomparve ai suoi occhi. A lui non restò che incamminarsi verso il castello d’acciaio.
Guidato dal suo amore egli procedette senza esitazionii, scrutando attentamente se alle volte non scorgesse l’adorata Principessa, ma non rimase a lungo tranquillo: quattro orribili sfingi lo circondarono, e precipitandoglisi addosso coi loro affilati artigli, lo avrebbero fatto a brandelli se la spada di diamante non gli fosse stata utile come la Sirena aveva predetto. L’aveva appena sguainata davanti agli occhi di quei mostri che questi caddero svenuti ai suoi piedi: egli inferse a ciascuno un colpo mortale, poi proseguì.
Trovò sei draghi coperti di squame più robuste del ferro. Per quanto fosse terribile un simile incontro, egli rimase intrepido, e servendosi della sua sorprendente spada non ne lasciò alcuno senza prima averlo sgozzato per bene.
Sperava di aver superato i più ardui pericoli, quando ne incontrò uno nuovo e quanto mai strano: ventiquattro ninfe, bellissime e graziose, gli vennero incontro reggendo una lunga ghirlanda di fiori con la quale gli ostacolavano il passaggio.
— Dove volete arrivare, signore? — gli dissero. — Noi siamo qui, per custodire questi luoghi: se vi lasciassimo passare, infinite disgrazie accadrebbero sia a noi che a voi; per carità, non insistete; vorreste forse imbrattare la vostra mano vittoriosa del sangue di ventiquattro fanciulle innocenti che non vi hanno mai fatto alcun torto?
Il Re, a tale vista, rimase allibito e titubante; non sapeva che fare: lui, che si era sempre vantato di rispettare il gentil sesso, e di esserne fino alla morte il paladino. adesso era costretto a combatterlo! Ma udì una voce che improvvisamente lo incoraggiò: «Colpisci! Colpisci! Non avere pietà, — diceva questa voce — o perderai per sempre la tua Principessa!».
Allora, senza rispondere nulla alle ninfe, egli si getta in mezzo ad esse. distrugge le loro corone di fiori, le combatte senza pietà e le disperde in un attimo.
Era uno degli ultimi ostacoli in cui doveva imbattersi: entrò nel boschetto dove aveva visto Tuttabella, e la trovò accanto alla stessa fonte, pallida ed emaciata. Le si accosta timidamente, fa per gettarsi ai suoi piedi, ma lei si alza e scappa via con altrettanta fretta e repellenza che se il Principe fosse stato il Nano Giallo!
— Non condannatemi senza ascoltarmi, Altezza, — disse lui — io non sono un traditore: sono un infelice che, senza volerlo, si è reso ripugnante ai vostri occhi! — Ah, crudele! — ella esclamò. — Vi ho visto volare su un cocchio insieme a una fanciulla di straordinaria bellezza; era forse controvoglia che facevate quel viaggio?
— Sì, Principessa, — disse lui — era a malincuore; alla perfida Fata del Deserto non bastò incatenarmi a una roccia, ma mi portò nel suo cocchio in capo al mondo, dove sarei ancora a patire senza l’insperato aiuto d’una buona sirena che mi ha condotto sin qui. Vengo, Principessa, a liberarvi dalle mani che vi tengono prigioniera; non rifiutate il soccorso del più fedele di tutti gli innamorati!
Si gettò ai suoi piedi, e cercando di trattenerla per le vesti inavvertitamente lasciò cadere a terra l’invincibile spada. Il Nano Giallo che era lì, nascosto sotto un cespuglio, non aveva ancora fatto a tempo a vederla in terra che, conoscendone l’invincibile potere, vi si gettò sopra e l’impugnò.
Scorgendo il Nano, la Principessa lanciò un grido terribile, ma il suo terrore non bastò a sconvolgere il piccolo mostro: con due formule magiche egli fece apparire due giganti, i quali si avventarono sul Re e lo imprigionarono con catene di ferro.
— E adesso — disse il Nano — il destino del mio nemico è nelle mie mani: ma son disposto a concedergli la libertà di andarsene di qui a patto che, senza esitare, voi acconsentiate a sposarmi.
— Preferisco morire mille volte! — esclamò il Re innamorato.
— Morire, ahimé — disse la Principessa — signore, cosa c’è di più temibile?
— Che voi diventiate la moglie di questo mostro — rispose il Re — non è ancora più terribile?
— Allora, moriamo insieme — disse lei.
— Concedetemi, Principessa, il piacere di morire per voi.
— Piuttosto acconsento a quel che desiderate — ella disse al Nano.
— Non fino a quando vivo — continuò il Re — ne farete il vostro sposo! O crudele Principessa, la vita mi sarebbe odiosa!
— No — disse il Nano Giallo — prima dovrai morire: un rivale amato è troppo temibile!
E nel dir queste parole, malgrado i gemiti e le suppliche di Tuttabella colpì il Re direttamente al cuore e lo lasciò esangue ai suoi piedi.
La Principessa, non potendo sopravvivere al suo dolce innamorato, si distese sul corpo e non tardò molto a unire la sua anima a quella di lui. Fu così che morirono i due poveri giovani, senza che la buona sirena potesse soccorrerli in alcun modo; poiché tutta la forza dell’incantesimo stava nella spada di diamante.
Il perfido nano preferì vedere la Principessa morta piuttosto che vederla fra le braccia d’un altro; e la Fata del Deserto, essendo venuta a conoscenza dell’accaduto, distrusse il sepolcro che aveva fatto costruire e fu presa da tanto odio per il ricordo del Re delle Miniere d’Oro quant’era stata potente la sua passione per la bella persona di lui.
La buona sirena, desolata da così grande sciagura, non poté ottenere altro dal Destino che di trasformare i giovani innamorati in due palme. Quei corpi così perfetti divennero due svettanti alberi e serbando sempre un amore fedele l’uno per l’altro, si accarezzano intrecciando i loro rami e in questa tenera unione vivono per sempre e vivranno in eterno.